Il volume “L’attaccamento disorganizzato” a cura di Judith Salomon e Carol George contiene una serie di saggi tra cui un interessante lavoro, di Debora Jacobvitz e Nancy Hazen, che illustra lo strutturarsi delle strategie di controllo attraverso la descrizione di tre casi clinici.
Riportiamo qui le osservazioni di uno di questi casi, in cui la distorsione relazionale madre-bambino è drammaticamente evidente, consigliando vivamente la lettura dell’intero articolo (e di tutto il volume).
Lo sviluppo dei comportamenti controllanti fra i bambini disorganizzati
Il caso di Sam illustra con quanto tempo e fatica un bambino disorganizzato possa riuscire a costruire un modo più efficace per rapportarsi a un genitore da cui si sente minacciato. All’età di 20 mesi, Sam non aveva ancora sviluppato delle strategie di comportamento all’insegna del controllo. L’interazione di Sam con la madre ricordava il comportamento da lui espresso nella Strange Situation: cercava di evitare la madre ma non riusciva a farlo in modo efficace, finendo quindi per crollare e per dare segni di disorganizzazione.
Durante la visita domiciliare a 20 mesi, la mamma di Sam stava giocando con delle formine di gomma. Sam sedeva a poca distanza da lei, lo sguardo distolto, giocando con una scatola degli attrezzi. La mamma non sembrava dimostrare alcun interesse per il gioco del figlio. Viceversa, afferrata una formina con cui stava giocando, chiese a Sam: «Che cos’è? Guarda qui, Sam. Guarda qui! Guarda qui!». Sam non rispose. La madre continuò a non mostrare alcun interesse per il gioco di Sam. Invece, prese una bambola che si trovava dall’altra parte della stanza e disse al figlio: «Guarda qui la bambolina. Vieni qui a prenderla, per me!». Ancora una volta, Sam non rispose. Su richiesta del protocollo di ricerca, la madre chiese a quel punto a Sam di aiutarla a rimettere a posto i giochi. Lo fece dicendogli: «Mi aiuteresti a mettere via i giochi?». Sam continuò a giocare con gli attrezzi, ignorando le parole della madre, finché questa non gli strappò un gioco dalle mani. Sam lanciò allora un grido acuto, la guardò e si mise a strillare: «No!». Poi afferrò il contenitore, svuotandolo dalle formine di gomma. La madre disse: «Sam, tesoro, rimettiamoli a posto», con un tono di voce dolce e carezzevole. Per tutta risposta Sam tolse altri giochi dalla cesta, continuando a gridare. La madre allora disse: «Hmm. Così non va bene, eh Sam?». Sam continuò a ignorarla e a togliere altri giochi dalla cesta. A quel punto la madre lo bloccò, mentre gli ripeteva con lo stesso tono di voce, basso e forte: «Smettila! Smettila! Smettila!», poi all’improvviso passò a un tono di voce più alto e cantilenato: «Mi dispiace, cuore mio», mentre cercava di abbracciarlo. Sam si divincolò, gridando e piangendo. All’improvviso, la madre lo afferrò per il braccio con forza dandogli uno strattone all’indietro mentre con la voce emetteva un brontolio forte, duro. Sam crollò a terra in una posizione ripiegata, piangendo forte e gemendo. In modo analogo, nel compito successivo previsto nella visita domiciliare, Sam sembrò ignorare le numerose istruzioni che la madre gli dava. Egli insisteva a effettuare a proprio modo un compito di scelta di forme, rifiutandosi di inserirle nelle sedi corrette. La voce della madre mutò improvvisamente da un tono alto e cantilenato ad uno duro e profondo, mentre diceva al figlio: «Così non va bene. Non ci stai nemmeno provando». Sam cercò di lasciare la stanza, mentre la madre lo afferrava con forza. Ancora una volta, la seduta era terminata con Sam crollato a terra in posizione rannicchiata, che gemeva e piangeva forte.
Le interazioni che abbiamo descritto sembrano denotare la totale mancanza di qualsiasi regolazione reciproca. Nella maggioranza dei casi, le madri di bimbi di 20 mesi assumono il controllo delle interazioni reciproche mentre cercano di seguire gli interessi espressi dai loro bambini. La madre cli Sam, invece, giocava da sola e i due sembravano impegnati in attività ludiche parallele che ricordano quelle fra bambini di 2 anni. Quasi tutti i bambini di quest’età non sopportano di smettere di giocare. In questi momenti possono sorgere lotte di potere, particolarmente a quell’età. Ciò che colpisce nella situazione che abbiamo descritto, invece, è il brontolio minaccioso e inconsueto accompagnato da una modifica del tono della voce, considerato indicativo di minaccia alla scala sviluppata da Main e Hesse [1995] per valutare i comportamenti genitoriali minacciosi e impauriti. Colpiscono anche il crollo di Sam, i suoi gemiti e la posizione rannicchiata da lui assunta (che sono altrettanti indicatori di disorganizzazione). Più avanti, nel corso di una seduta di gioco condotta a 26 mesi, pur evitando questa volta di farsi coinvolgere in lotte di potere con la madre, Sam sembrava non disporre ancora di una strategia più efficace per interagire con lei.
La madre di Sam sembrava assorbita con aria sognante nel gioco, e mostrava scarsa attenzione a Sam e a ciò che stava facendo. Sam ancora una volta non giocava con la madre, ma la osservava molto di più e sembrava più interessato al suo umore e alle sue attività. Sul finire della seduta di gioco, la madre assunse senza ragione apparente un’aria molto silenziosa, mantenendo lo sguardo fisso nel vuoto e un’espressione attonita per 30 secondi. Sam, preoccupato, cercò di strapparla dal suo stato di trance avvicinandosi a lei e salutandola. Questo fu il suo unico atto di interazione nel corso dell’intera seduta, al quale la madre non riuscì però ancora una volta a rispondere.
Quindi, fin dall’età di 26 mesi, Sam potrebbe aver mostrato in questa interazione i prodromi di un successivo modello di interazione con la madre basato sul rovesciamento dei ruoli, nel momento in cui si era inutilmente sforzato di strapparla dal suo stato apparente di trance (o se si preferisce dai suoi sintomi di dissociazione). Il comportamento premuroso espresso da Sam, tuttavia, aveva avuto breve durata. Sam era rimasto in uno stato di ritiro, vigile e ansioso, per il resto della seduta. La madre, così poco sensibile all’umore e agli interessi reali di Sam, gli aveva ordinato con voce dura e imperiosa di obbedirle e di portare a termine tutti i compiti che di volta in volta gli sottoponeva. Sam sembrò evolvere a 32 mesi verso la manifestazione di comportamenti diretti a richiamarne la pietà e la compiacenza.
Sam passò quasi tutto il tempo del pranzo (durato circa mezz’ora) raggomitolato e acquattato sulla sua sedia, a implorare e ad elemosinare dalla madre il permesso di alzarsi da tavola per andare a giocare. Egli ripeteva all’infinito con voce trepidante e piagnucolosa: «Ti prego, mammina, ti prego mammina!». La madre rispondeva alle sue implorazioni con sarcasmo ed esasperazione. Quando si trattò di rimettere a posto i giochi, Sam si mise nuovamente a implorare e ad elemosinare di poter giocare ancora un po’. La madre non rispose alle sue richieste, deridendo le sue implorazioni e rivolgendosi a lui con un tono di voce freddo e sarcastico.
Finalmente, all’età di 42 mesi, Sam riuscì a sviluppare un modello di interazione con la madre basato sul rovesciamento dei ruoli. Smise di evitare la madre e di ignorarla, smise di impegnarsi in lotte di potere con lei e di implorarla. Come in ogni altra precedente sessione di gioco, la madre continuò a dominare le interazioni con il figlio. Giocava in modo infantile, senza apparente interesse nei confronti di Sam e delle sue iniziative, e richiedendo invece al figlio di interessarsi al suo gioco. Diversamente da quanto avvenuto nelle interazioni precedenti, nelle quali Sam si limitava a guardare la madre ignorandone gli sforzi di coinvolgerlo nei propri temi di gioco, ora Sam sembrava molto attento agli interessi della madre. Adesso era pronto a seguirne i suggerimenti, come dimostra il seguente esempio.
Fra i giochi a disposizione c’era un servizio da tè. La madre suggerì a Sam di prepararle il pranzo. Sam finse di preparare tutte le bevande e i piatti che lei desiderava. Quando la madre indicò il servizio da tè e gli disse: «Posso avere del tè, per favore?», Sam prese la tazza e suggerì: «Che ne dici di un po’ di caffè?». La madre questa volta si disse d’accordo.
Questo schema gli permetteva apparentemente di sentirsi vicino alla madre e di guadagnarne l’approvazione mentre, allo stesso tempo, gli consentiva di assumere un qualche controllo sull’umore materno. Finché la compiaceva, la madre lo accettava e sembrava riconoscergli una certa autonomia. Alleandosi con lei, se ne sarebbe assicurato la vicinanza. Per la prima volta, vedemmo Sam ridere, parlare con la madre, e rilassarsi un po’. Tuttavia potemmo anche osservare quanto Sam dovesse mantenere uno stato di continua vigilanza per compiacere la madre ed evitare che essa divenisse ancora una volta minacciosa.
A 42 mesi, nel corso di un compito strutturato nel quale la madre gli chiedeva di fare un elenco di oggetti con le ruote, Sam diede alcune risposte corrette, ma poi non riuscì a sviluppare ulteriori idee. A quel punto Sam cercò di entrare nelle grazie della madre, dando risposte stupide. La madre divenne visibilmente tesa, la sua voce si indurì. La voce di Sam invece si abbassò. Le sue spalle si incurvarono mentre si rivolgeva alla madre a bassa voce e con tono implorante: «Non so altro, mammina. Non so altro, mammina». La madre spalancò gli occhi, restando immobile per ben 42 secondi. Sam si torceva le mani e muoveva i piedi, in evidente stato di agitazione, mentre continuava a ripeterle con lo stesso tono implorante: «Non so altro, mammina», e mentre si piegava su di lei e le picchiettava ripetutamente il ginocchio per smuoverla dal suo stato apparente di trance. Ma la madre non gli rispose affatto.
A 56 mesi, lo schema che abbiamo descritto di compiacenza e premurosità nei confronti della madre sembrava saldamente impiantato. Come in precedenza, il gioco ruotava attorno agli interessi e alle iniziative della madre, con la differenza che Sam ora la guardava costantemente e rispondeva con prontezza ai suoi suggerimenti. Avevamo la sensazione che grazie a questo schema Sam fosse riuscito a trovare un modo per mantenere una certa vicinanza con la madre.
Durante il gioco, Sam rimase seduto vicino alla madre sussurrando e ridacchiando con lei come avrebbe potuto fare con un compagno di giochi della sua età. La madre chiese a Sam di portargli una scatola dei vestiti da sera. Quindi cominciò a mettersi dei cappellini, dei gioielli e una pelliccia, chiedendo a Sam di aiutarla, cosa che egli fece. Poi disse: «Mi piace così. Come sto?». Poiché Sam si era limitato a sorridere, la madre prese una paperella e fece finta di morsicarlo sull’orecchio. Sam abbassò lo sguardo e disse: «Smettila, mammina», con il consueto tono di voce basso e adulatore, continuando a sorridere. La madre gli rispose sorridendo e smise di tormentarlo.
Il grado di rovesciamento di ruolo dell’interazione in questa coppia madre/bambino è impressionante. La madre di Sam giocava a vestirsi come avrebbe fatto un bambino e si aspettava che il figlio rispondesse ai suoi interessi e bisogni, e non il contrario. Quindi, fin dai 4 anni d’età, Sam aveva imparato un modo per far felice la madre e rispondere ai suoi bisogni. E’ interessante notare come lo stesso Sam avesse imparato ad utilizzare sempre di più i cosiddetti comportamenti «schivi e disarmanti» illustrati dalla Crittenden [1992], ad esempio inclinare il capo di lato, abbassare lo sguardo e sorridere con atteggiamento umile.
Il caso di Sam, dimostra la quantità di tempo di cui il bambino disorganizzato può aver bisogno per sviluppare una strategia di interazione adeguata con la madre. Il caso di Sam illustra anche tutta la fragilità di queste condotte di controllo, che crollano in situazioni di particolare tensione e di impossibilità di controllare efficacemente la madre. Infine, il caso di Sam conferma il fondamento relazionale dello sviluppo di una strategia di controllo da parte del bambino. Nel momento in cui Sam sviluppava uno stile interattivo con la madre basato sulla premurosità, essa lo incoraggiava ad assumersi la responsabilità del suo stesso umore agendo in modo sempre più infantile.
Lo sviluppo di strategie di controllo nel contesto del sistema familiare
I teorici dei sistemi familiari hanno sostenuto che il bambino interiorizzi e trasferisca interi sistemi relazionali [Sroufe e Fleeson 1986; Minuchin 1974]. Secondo questa ipotesi, il bambino interiorizzerebbe l’insieme dei ruoli che apprende entro un dato sistema relazionale: ad esempio, il bambino che ha subito violenza, apprende non soltanto a fare la vittima (cioè il suo ruolo) ma anche a fare il carnefice. Inoltre, i ruoli intrafamiliari sono interdipendenti, vale a dire reciprocamente vincolanti e influenti. Ad esempio, alleanze patologiche fra genitori e figli, che implicano sovente un rovesciamento di ruoli, tendono a svilupparsi all’interno di famiglie caratterizzate da una relazione di coppia all’insegna della distanza o della conflittualità [Jacobvitz, Riggs e Johnson 1999]. Noi riteniamo anche che relazioni patologiche fra genitore e bambino (come quelle che si esprimono nella disorganizzazione dell’attaccamento) aumentino la probabilità che si sviluppino fra genitori e figli alleanze basate sul rovesciamento di ruoli che possono ricordare le relazioni fra pari. Le famiglie considerate nei nostri studi di caso erano tutte composte dalla madre, dal padre e da un unico figlio. L’osservazione delle interazioni familiari al momento dei pasti illustra il possibile contributo che la relazione del bambino con il padre e la relazione coniugale portano allo sviluppo delle strategie di controllo. Ad un’osservazione della famiglia al momento dei pasti avvenuta quando il bambino aveva rispettivamente 44 e 56 mesi, Sam dimostrava un atteggiamento controllante nei confronti di entrambi i genitori. Curiosamente, mentre era compiacente e premuroso nei confronti della madre, Sam sembrava altrettanto punitivo e sprezzante nei confronti del padre. Seguendo la madre, egli contraddiceva e ridicolizzava il padre ogni volta che questi proferiva parola o prendeva l’iniziativa, rivolgendosi a lui in tono ostile e sprezzante. Arrivava al punto di utilizzare lo stesso tono di voce della madre.
Un incidente di questo tipo si verificò in un momento in cui il padre stava mangiando un’insalata di patate e piselli. Sam disse, in tono derisorio: «C’è un pisello, là». Al che la madre aggiunse: «Sì, è proprio sconveniente!». Molte volte nel corso del pasto, la madre di Sam si rivolse al marito attraverso il figlio che si rivolgeva al padre attraverso la madre («Di’ a papino … …»). Per ben due volte, nel corso del pasto, Sam si alzò a sussurrare un segreto nell’orecchio della madre e i due risero fra loro. Quando voleva qualcosa, Sam la chiedeva sempre alla madre e mai al padre. Mentre, nei confronti della madre, usava un tono basso e dolce e fintamente deferente, Sam si rivolgeva al padre con richieste aspre, e un tono della voce autoritario, di sfida e di derisione. Ad esempio, indicando un pezzo di pizza, e prendendo il padre per un dito, Sam gli aveva ordinato: «Non prendere questo pezzo. E per me!».
In altre parole schierandosi con la madre e adottando nei confronti del padre il comportamento ostile e controllante che essa manifestava nei confronti del marito, Sam aveva potuto raggiungere potere e autonomia. Aveva potuto conservare una certa vicinanza con la madre, probabilmente grazie alla possibilità di controllare in qualche modo il suo comportamento minaccioso e imprevedibile. Sam si era schierato con il genitore più dominante del sesso opposto ed aveva assunto un atteggiamento punitivo nei confronti del genitore più passivo dello stesso sesso. Le relazioni nella coppia genitoriale erano tese e caratterizzate da espressioni più o meno dirette di ostilità. Certamente, un chiarimento dei legami che intercorrono fra l’insorgere di modelli relazionali genitore/bambino all’insegna del controllo, e la presenza di alleanze patologiche fra genitori e figli e di relazioni coniugali problematiche, richiede ulteriori ricerche. L’osservazione delle interazioni fra genitori e figli nel contesto familiare illustra la gamma di relazioni di ruolo che il bambino può avere interiorizzato. Ad esempio, fm dall’età di 5 anni, Sam potrebbe aver interiorizzato i modeffi d’interazione relativi ad almeno tre ruoli: quello di vittima infelice ed impotente; quello di «ragazzone» dolce e buono, capace di prendersi cura della madre; quello di prepotente derisore capace di prendersi gioco del padre e di controllarlo, per acquistare i favori della madre. Ciascuna di queste relazioni di ruolo potrebbe essere trasferita nell’ambito delle successive relazioni con i pari. E importante notare come la disorganizzazione dell’attaccamento infantile non conduca necessariamente allo sviluppo da parte del bambino di strategie di interazione con i genitori all’insegna del controllo, soprattutto quando questi ultimi riescono ad astenersi dal continuare ad usare strategie educative fondate sulla minaccia o sul controllo.
Sintesi: lo sviluppo della relazione fra genitore e bambino nel corso della prima fanciullezza
Le strategie che i bambini disorganizzati giungono ad adottare nell’interazione con il genitore, come anche la durata del periodo necessario a costruire un modello praticabile, variano da caso a caso. Se il caregiver intimidisce e domina il bambino, la messa in atto di comportamenti prepotenti e punitivi potrebbe innescare ulteriori condotte minacciose se non addirittura di abuso. E possibile che alcuni bambini, come Sam, imparino a controllare genitori di questo genere adottando un atteggiamento di compiacenza e di ossequio e dedicandosi ai bisogni e agli interessi dei genitori. L’impiego di una strategia basata sulla punitività e la prepotenza potrebbe essere più frequente, di fronte a una figura materna impotente o incompetente, incapace di fare da guida e di stabilire una base sicura. Nella maggioranza dei casi che abbiamo osservato, la strategia d’interazione con la madre si sviluppa fra i 26 e i 32 mesi d’età. fl caso di Sam, che ottenne il punteggio massimo possibile di disorganizzazione nella Strange Situation, dimostra tutta la difficoltà che i bambini caratterizzati da forme estreme di disorganizzazione possono incontrare nel costruire una strategia siffatta. Riteniamo che questi bambini rischino in modo particolare di sviluppare relazioni disturbate con i pari. Finché il bambino non sviluppa una strategia integrata di relazione con le figure d’attaccamento, non può nemmeno trasferirla dai genitori ai pari.
fonte: http://www.unabasesicura.it
LIBERAMENTE TRATTO DA:
Debora Jacobvitz e Nancy Hazen
“Percorsi evolutivi dalla disorganizzazione infantile alle relazioni con i pari nella fanciullezza”
in Judith Salomon e Carol George
Attachment organization
New York Guilford Press, 1999
edizione italiana:
L’attaccamento disorganizzato
Il Mulino editore, Roma