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Approccio clinico

Le teorie psicologiche di riferimento

L’ approccio clinico utilizzato nel centro si riferisce alle correnti teoriche della psicoanalisi contemporanea, dalla Psicologia del Sé fino agli sviluppi contemporanei della Psicoanalisi Relazionale e della Prospettiva Intersoggettiva.

Questi modelli, sia a livello teorico che clinico, avvalendosi di una lunga tradizione e di una elaborazione che è viva e fertile ancora oggi, prendono le distanze dal modello freudiano della psicoanalisi classica, a partire da una revisione basata su osservazioni sia cliniche che scientifiche.

I costrutti psicoanalitici di inconscio, difesa, conflitto, motivazione, sogno, interpretazione, non scompaiono, ma sono ridefiniti e rivalutati in una cornice completamente differente, a partire dalle nuove conoscenze che abbiamo sullo sviluppo “normale” e sulla psicopatologia.

Uno dei punti di forza di queste teorie è lo stretto legame e il dialogo con le più recenti scoperte delle neuroscienze e con la ricerca sullo sviluppo affettivo e mentale nella prima infanzia (infant research e teoria dell’attaccamento), in cui trovano valido supporto e punto di partenza per nuove evoluzioni.

La dimensione terapeutica relazionale

Il primo compito del terapeuta è collaborare alla costruzione di una cornice spazio-temporale e relazionale di sicurezza e fiducia (per molte persone un’esperienza complicata, oppure mai sperimentata prima), in cui sia possibile il lento dispiegarsi, chiarirsi e trasformarsi del mondo soggettivo del paziente. Questo avviene attraverso un atteggiamento dell’analista che cerca continuamente di comprendere ponendosi il più possibile dall’interno della prospettiva del paziente (ascolto empatico). Un tipo di ascolto che si sviluppa e si alterna nel corso del processo con altre prospettive di ascolto che integrano anche il punto di vista dell’ “altro in relazione al paziente” e del “terapeuta in relazione al paziente”.

Obiettivo è la costruzione di un contesto di comune esplorazione e ricerca di cause ma soprattutto di significati affettivi ed emotivi attorno a cui la persona ha organizzato l’esperienza di sé e dell’altro. Non è tanto (o solamente) una ricerca volta a trovare e colmare “cosa manca” o “cosa è mancato” nella vita del paziente, ma a capire come si è organizzata quella persona in base a limiti, mancanze, valori, modalità relazionali presenti nel suo ambiente di sviluppo. Tale processo, come in tutte le terapie di orientamento psicoanalitico, avviene, in gran parte ma non solo, attraverso l’attenzione all’esperienza che paziente e terapeuta hanno della relazione analitica stessa.

Il Percorso terapeutico

In questo approccio clinico, in linea con i modelli psicoanalitici contemporanei, il cambiamento non avviene solo attraverso una serie di insight, o passaggi di contenuti dall’inconscio alla coscienza, che pure possono verificarsi e contribuire positivamente al trattamento. Tali esperienze di consapevolezza, infatti, possono essere effettivamente trasformative solo se avvengono all’interno di un processo relazionale di cui spesso costituiscono l’esito. I fattori più rilevanti che rendono possibile l’azione terapeutica sono quindi da ricercarsi all’interno di quello che accade nella relazione stessa e sono per lo più di tipo implicito e procedurale, riguardano più i processi mentali, affettivi e relazionali, che non i contenuti in sé, hanno a che fare più col “fare esperienza di” che col “conoscere” nuove cose.

Il cambiamento terapeutico, in sintesi, avviene attraverso due percorsi che operano in tandem: l’esplorazione esplicita e riflessiva di significati e la co-creazione di una nuova esperienza relazionale.

La posizione del Terapeuta

Viene messo in risalto il valore dell’autenticità da parte del terapeuta e dell’ingaggio nella relazione analitica, che non lascia spazio a una presunta neutralità: il terapeuta non è uno schermo bianco a cui il paziente si rivolge e su cui proietta il proprio mondo interno, ma è coinvolto in prima linea nel processo di cura e utilizza la propria soggettività come strumento integrante del trattamento stesso.

Pur nell’assoluto intento di perseguire lo scopo ultimo che è il benessere del paziente e tenendo sempre presente la posizione asimmetrica e di responsabilità rispetto a lui, il terapeuta è in una posizione di scambio mutuo (gli elementi, cioè, emergono all’interno del campo intersoggettivo formato da paziente e terapeuta insieme) che vuol dire anche allontanarsi da una prerogativa di presunto “potere” e detentore del “sapere” da parte dell’analista e avvicinarsi invece a una reale esperienza di comune ricerca e co-creazione di significati.

La “possibilità terapeutica” è determinata dalla specificità del processo co-creato da ciascuna diade e dall’adattamento specifico (matching) fra quel paziente e quel terapeuta.

In quest’ottica, si potrebbe dire che tutte le risposte potenzialmente terapeutiche sono legittimate, purché rientrino nella professionalità del rapporto e non interferiscano con la tolleranza personale del paziente e/o del terapeuta. Il compito di trovare una risposta e una responsività che abbia una valore terapeutico ottimale per uno specifico paziente richiede, pertanto, da parte del terapeuta, un’accurata conoscenza teorica, un alto grado di autodisciplina e conoscenza di sé, e una profonda sensibilità e attenzione clinica.